23.4.09

Dice che Daniel Faraday...























Dice che Daniel Faraday deve morire. Dice che il bravo attore Jeremy Davies, che in LOST interpreta l’ambiguo scienziato mandato sull’isola insieme a dei misteriosi compagni per salvare i dispersi del volo 815 della Oceanic Airlines, è destinato a uscire di scena in finale di stagione, come già successo al compianto Charlie Pace, con un probabile fiume di lacrime.
Dice che lo scienziato, che nel 1996 lavorava al Queen College di Oxford conducendo esperimenti non autorizzati sui viaggio nel tempo, era stato contattato dal buon Desmond Hume, intrappolato in un viaggio temporale/mentale, chiedendogli aiuto, e dice che Daniel gli aveva spiegato che avrebbe dovuto trovare una “costante” tra le due realtà in grado di trattenerlo nel suo tempo evitando così di morire.
Dice che prima di partire per l’isola Faraday era stato avvicinato dall’inquietante Matthew Abbadon, che l’aveva reclutato insieme a Charlotte Staples Lewis, un’antropologa dal passato oscuro, Miles Straume, uno che “parla coi fantasmi”, Frank Lapidus, il pilota d’aereo che avrebbe dovuto “guidare” il volo 815 poi schiantatosi, e Naomi Dorrit, una mercenaria sexy.
Dice che il personaggio porta il nome del fisico e chimico inglese Michael Faraday, scopritore dell'omonima legge e dell'omonimo effetto, e già in una delle puntate iniziali della Season5 è entrato in contatto con la sua futura madre, Eloise Hawking, in un viaggio nel tempo, prima che lei, ovviamente, lo mettesse al mondo. E dice che gli spoiler che si leggono sulla rete indicano proprio la madre come colei che lo ucciderà: in una delle prossime puntate Faraday tornerà sull’isola con il sottomarino nucleare per cercare di convincere Pierre Chang a evacuare tutta la popolazione, dicendogli la verità sull’isola e su Miles (il figlio che lui nel futuro manderà via dall’isola e che, in questo ennesimo viaggio nel tempo, incontra da adulto senza ovviamente riconoscerlo…). Faraday entrerà anche nel campo degli “Others” per parlare con sua madre, che però lo ucciderà prima che si possano parlare.
Dice che, a sorpresa, il padre di Daniel è il miliardario Charles Widmore che, fino a questo punto, sappiamo con certezza essere il padre di Penelope, la fidanzata di Desmond. Dice che però ancora non si sa chi è la madre di Penelope, anche se su un blog “spoileroso” sono visibili alcune foto molto molto curiose… (http://www.lostdiscovery.com/2009/04/21/episodio-5x14-nuove-immagini-promozionali.htm)

14.4.09

Dice che “Palermo Shooting”...























Dice che “Palermo Shooting”, l’ultimo film di Wim Wenders, è stato massacrato così tanto dalla critica alla sua prima visione al festival di Cannes del 2008 che nelle sale italiane o non è mai arrivato, o se c’è stato, dopo un paio di giorni è stato “smontato”.
Dice che il film, nato dall’iniziativa di un professionista locale che aveva pensato a Wenders per un film sulla città, ha ben poco di “promozionale” su Palermo, ed è l’ennesimo caso di grande film osteggiato dagli italiani perché “parla male dell’Italia”, cosa che è già successa in passato con i lavori di Ciprì&Maresco e con “Gomorra” di Matteo Garrone (praticamente quasi le uniche cose buone del cinema italiano).
Dice che, protagonista del film, è il fotografo Finn che, in crisi esistenziale e dopo uno scampato incidente d’auto in cui vede in faccia la morte, lascia Düsseldorf per andare a Palermo per uno scatto fotografico, ma poi ci resta.
Dice che il film risente in alcuni passaggi del canovaccio di sceneggiatura con cui è stato girato, ma che in molte parti abbaglia per la sua poeticità e per il suo personalissimo sguardo sulle cose e sulla realtà: la percezione esistenziale del fluire del tempo, lo “scatto” definitivo che cattura la realtà, il rapporto con la morte, la morte come nuova vita sono alcuni dei grandi temi trattati dal grande regista tedesco in un film che, sempre di più, assomiglia al suo personalissimo sguardo in soggettiva sul mondo.
Dice che il film, girato e fotografato meravigliosamente in una Palermo sempre più (de)cadente ma sempre affascinante, mescola il Barocco sfolgorante di certi scorci e la “munnìzza” colorata della Viccuria in un continuo rimando sulla morte, adagiandosi su un meraviglioso tappeto sonoro che va dai Grinderman del fido Nick Cave, all’amico Lou Reed (che compare “fantasma” in una scena), dai Calexico, ai Portishead, e, curiosamente, alla bellissima “Quello Che Non Ho” di Fabrizio De André (di cui Wenders dice di essere grande fan).
Dice che il protagonista di questo film ricorda da vicino la protagonista del capolavoro incompiuto “Fine alla fine del mondo”, sempre sfuggente e inafferrabile, e cita “Professione Reporter” e “Blow Up” di Michelangelo Antonioni e “Il Settimo Sigillo” di Ingmar Bergman. Dice che il capolavoro del regista svedese è evocato in una magistrale scena girata all’interno del suggestivo Archivio Storico di Palermo, in un dialogo struggente tra il fotografo e la morte, magistralmente interpretata da un ispiratissimo Dennis Hopper.
Dice che il film è dedicato proprio ai due grandissimi Maestri, morti lo stesso giorno (30 luglio 2007), e che tale atto di amicizia ha fatto inspiegabilmente storcere il naso a molti critici.
Dice che Campino (pseudonimo di Andreas Frege), il protagonista del film, è il cantante del gruppo rock tedesco Die Toten Hosen, ed è in quasi tutte le scene con le cuffie del telefonino-mp3. E dice che in una scena, mentre vaga per la città, incontra una fotografa con un “famoso” taglio di capelli a caschetto, Letizia Battaglia, lo storico “occhio” che ha immortalato quarant’anni di morti di mafia a Palermo.
Dice che il film è importante e bello, e che ai palermitani, ovviamente, non è piaciuto, perché non ci hanno visto nulla di ciò che ci volevano vedere: ma “Palermo Shooting” è lo sguardo più “vero” e lirico per raccontare una città che con la Morte ha a che fare quotidianamente.

“Io ascolto sempre le storie che i posti voglio raccontare, e Palermo mi ha scelto per svelare la sua.” Wim Wenders

http://www.youtube.com/watch?v=eEidp7_VzQ4&eurl=

http://www.flickr.com/photos/s3ra/sets/72157608510827515/

13.4.09

Dice che Samantha Fox...























Dice che Samantha Fox, la celebre cantante e modella britannica, celebre negli anni ’80 per il suo pop sbarazzino e il suo imponente seno, sta per sposarsi. E dice che convoglierà a nozze con la sua manager Myra Stratton.
Dice che Samantha, nata a Londra il 15 aprile del 1966, è apparsa in topless per la prima volta a pagina 3 del Sun nel febbraio del 1983 con il consenso dei genitori, e dopo poco ha iniziato la sua carriera come cantante e modella, assicurando le sue meravigliose soffici minne per 250.000 sterline. Apparsa in molte riviste erotiche, anche se, purtroppo, in rarissimi scatti di nudo integrale, la bionda tutto pepe celebre per il brano “Touch Me (I Want Your Body)”, ha rappresentato per un’intera generazione la prima immagine ancorché confusa del desiderio sessuale.
Parallelamente alla carriera di pin-up, la sua musica ha scalato le classifiche, proponendo sempre brani orecchiabili dai testi ammiccanti e allusivi. Dice che nel 1986 è apparsa in un videogioco di “Samantha Fox Stirp Poker”, ma che il successo planetario del singolo “Touch me” non si è più ripetuto. Poi l’oblio, come altre stelle indimenticate della sua generazione.
Dice che da tempo giravano voci sulla sua incerta sessualità, e che nel febbraio del 2003 la bellissima bionda oggetto del desiderio abbia dichiarato apertamente: “Non posso continuare a dire “forse” o a smentirlo, è ora che la gente sappia dove sta il mio cuore. Si continua a dire che io sia lesbica. Non so cosa sono, ma sono certa di essere innamorata di Myra. La amo completamente e voglio vivere il resto della mia vita con lei”.

http://www.samfox.com/

8.4.09

Dice che “Gran Torino”...























Dice che “Gran Torino” è il titolo del nuovo film di Clint Eastwood, il suo 32esimo da regista, e dice che, curiosamente, a metà film si ride. Poi, come ormai ci ha abituati il vecchio ispettore Callaghan, alla fine ovviamente si piange.
Dice che il film, che racconta l’amicizia tra un vecchio brontolone razzista reduce dalla guerra in Corea e un ragazzino cinese (?) e la sua famiglia è l’ennesima lezione di severo moralismo del vecchio Clint. Dice che il film, che pure ha un inizio un po’ lento, e una recitazione un po’ “stentata” per il protagonista Walt Kowalski, nella sua durezza e semplicità ci costringe, ancora una volta, nel buio della sala, lontani dall’eco di pubblicità e balletti televisivi, alla riflessione. Dice che il pensiero di Eastwood nel tempo non cambia (semmai migliora), e alla fine i cattivi saranno puniti, e i più deboli soccomberanno (a meno che, come in questa storia, un cattivo che finalmente ha trovato una sua redenzione non si sacrificherà per loro). Dice che, usciti dal cinema, si rinnova la magia di questo energico ottantenne rimasto tra i pochi a fare film “importanti” che vale la pena vedere.
Dice che la “Gran Torino” del titolo è un modello di auto prodotta dalla Ford nel 1972, un autentico gioiello custodito gelosamente in garage da Kowalski, chiamata così in omaggio alla città della Fiat, la “piccola Detroit”, ritenuta indiscussa capitale automobilistica europea. E dice che sempre lo stesso modello di auto è la vettura dell’agente Starsky nella serie televisiva Starsky e Hutch

2.4.09

Dice che Eugenio Baroncelli...


















Dice che Eugenio Baroncelli, per gli amici Dedi, ha scritto 267 brevi biografie di personaggi famosi e non, raccolte nel “Libro di candele, 267 vite in due o tre pose”, da poco edito da Sellerio. Dice che lo scrittore, nato a Ravenna nel 1944, in verità è un professore di liceo dalla evidente sterminata cultura e dalla altrettanto evidente ironia. Dice che il libro alterna ritratti di mostri sacri come Leopardi, Celine, Raymond Chandler, Reinaldo Arenas e Sylva Plath a illustri sconosciuti del calibro di Guglielmo Basta, Diego Bacini e Bruno Schulz. Dice che l’autore è discendente di Bernardi Baroncelli, il killer di Giuliano de’ Medici, fratello di Lorenzo il Magnifico, ucciso a Firenze il 12 dicembre 1479, come allude la mezza paginetta biografica che gli dedica.
Dice che il libro è una sapiente opera di fantasia, ora ilare, ora profonda, sempre vagamente geniale, un concentrato di storie e sottostrorie, trame e sottotrame della cultura di tutti i tempi. Geniale “scrittore inutile”, per dirla con Ermanno Cavazzoni, il sapiente ricamo di Baroncelli è un racconto spionistico, voyeuristico, predatorio: un punto di vista “storto” sulla Storia con la s maiuscola, che racconta molto di più di inutili libri di testo e enciclopedie.
Dice il filosofo James Hillman che “le falsificazioni biografiche fanno parte dei fatti narrati tanto quanto i fatti in sé”, e che “tutti noi veniamo inventati via via che viviamo”. Delizioso il ritratto di “Léon Foucault, l’uomo che invecchiò allo specchio”, struggente quello di “Marco Aurelio, l’uomo che voleva essere Dio”, dissacratorio quello di “Julius Fromm, l’uomo che aveva inventato il preservativo”, da pisciarsi dal ridere quello su “Max Brod, lui e l’altro”.
Dice che, curiosamente, tra le pagine viene raccontata anche la vita di “Mario Baroncelli, padre dell’autore”: struggente.