28.9.12

Dice che "Io non sono come te"...





Dice che "Io non sono come te" è il racconto che ho finito di scrivere nei giorni in cui, a dicembre dello scorso anno, ero stato invitato all’Italian Bookshop di Londra per la presentazione del mio romanzo “Il Duka in Sicilia”, di cui questo racconto è in qualche modo “figlio”.
Mi ero perso in una delle mie infinite passeggiate in una pungente mattina per ritrovarmi a Camden Town nello stesso luogo in cui, più di vent’anni prima, avevo comprato con mia sorella il primo “Chiodo”, i Doc Marten’s e i 45 giri dei Police. Del quartiere “maledetto” dei Clash e di “Whithnail & I” non c’era più traccia, e mi stavo nuovamente infilando le cuffiette dell’iPod quando mi sono imbattuto in un tizio che suonava un pianoforte mezzo distruttosul marciapiedi davanti a un negozio di memorabilia. Aveva qualcosa di strano eppure di familiare: benché fosse inverno non portava calzini, i pantaloni alle caviglie, un giubbotto di pelle leggero, ma soprattutto aveva un modo di suonare che io conoscevo molto bene. Era un pezzo strumentale, e batteva il tempo con il tacco del mocassino premendo i tasti come se li volesse aggredire. Il pianoforte non era uno strumento staccato da sé, il pianoforte era una parte di sé, che viveva con lui, suonava con lui, sbagliava con lui. Perché sì, a un certo punto si era impappinato, e anche quel gesto io lo conoscevo bene. Sembrava che stesse per morire, e che quella era l’ultima volta che avrebbe potuto suonare e gridare a squarciagola “I need your love”. Finita l’esibizione mi ero allontanato ed ero scoppiato a piangere. Avevo trovato Noah, il bambino protagonista del racconto che avevo appena spedito all’editore via email mezzora prima. è una cosa difficile da spiegare, che ha a che fare con la disperata solitudine della creazione di una storia e dei suoi personaggi, e la possibilità di toccare l’infinito con mano, e di sentirlo reale. Nessun premio letterario può arrivare a così tanto, a così in alto, e così intensamente. L’emozione era stata troppo forte, e per assurdo che possa sembrare, ho contattato via facebook Stephen Ridley, il pianista di Camden Town, solo una volta tornato in Italia.
A casa, a Bologna, quasi dieci anni prima, dopo l’ennesimo “cambio di vita”, mi ero trasferito a qualche portone di distanza da un negozio di bellissime scarpe artigianali disegnate da una stilista londinese che vedevo passare ogni tanto nascosta sotto grandi coloratissimi cappelli. In questi anni il sogno di Debbie Baker si è trasformato nel successo internazionale del brand Fiorentini+Baker, anche grazie, perché no, alle decine di scarpe che ho comprato io! L’invito di Debbie e di Marisa Bernardoni a portare il reading musicale del mio “Duka” nel loro negozio sotto casa è stato un piacere e un onore: anche le loro scarpe raccontano una storia, fatta di tradizione e di invenzione, esattamente lo stesso “conflitto” di cui si parla nel mio libro. E dopo Bologna, il “Duka” è arrivato anche da Fiorentini+Baker New York, grazie alla pazienza e all’entusiasmo di Cristina Guidetti.
Che fine ha fatto il pianista di Camden Town? Avevo raccontato a Debbie e Marisa la mia idea di organizzare un concerto a Bologna di Stephen, anche se  in fondo, a parte qualche video su YouTube, non sapevo nulla di lui, né della sua musica. L’idea era bella, ma Debbie era dovuta partire per Londra per lavoro, e ne avremmo riparlato al suo ritorno. Non mi aveva detto che, curiosa, sarebbe andata a sentire quel pazzo pianista che “trascinava il suo piano in giro per il mondo portando l’amore tra la gente”. E una mattina, come solo in certi film e certi libri accade, Marisa mi ha mandato un video di una turista asiatica che riprende Stephen in una delle sue strazianti performance: la turista, ignara di essere mossa dal caso, a un certo punto gira la telecamera e inquadra Debbie, che fuma una delle sue sigarette, sotto uno dei suoi stupendi cappelli.
Dice che Stephen ha suonato per Fiorentini+Baker a Bologna, nella piazza davanti al negozio, e a Londra, per strada a Notting Hill. E questo grazie a Josef, Daniel e Noah. Lo so, sono uno scrittore, e questa sembra una storia inventata. Ma, credetemi, non è così. È tutto vero. Anche stavolta ogni riferimento a persone e fatti è puramente casuale.
Dice che Stephen suonerà anche sabato 29 settembre a Parigi.






6 commenti:

Anonimo ha detto...

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