Hitsville, USA
[...] Anche
il giovane Berry Gordy Jr. è sempre senza un soldo, ma nel 1959 posa la prima
pietra dell’impero Motown con un prestito di 800 dollari: compra una casetta in
legno con annesso garage, poi trasformato in studio di registrazione e
ribattezzato “Hitsville, USA”, dove sta barricato giorno e notte coi migliori
musicisti jazz e blues della città, che fa lavorare sette giorni su sette. È
ossessionato dal controllo, ma sa cosa vuole: il successo. È così che si mette
a sfornare una serie di hit con gente come Smokey Robinson, Diana Ross, Marvin
Gaye, Four Tops, Stevie Wonder e Jackson 5. Sono canzonette pop fatte da neri
ma destinate soprattutto al pubblico bianco, le cui vendite complessive
superano quelle di Beatles, Stones, Beach Boys ed Elvis messi insieme.
Ovviamente tutte suonate per una paga da fame e senza essere mai accreditati,
ma quei ragazzi hanno il blues nel sangue, non vogliono lavorare più in
fabbrica e accettano di essere in qualche modo sfruttati, diventando la più
potente macchina da successi nella storia della musica pop. Chi ha suonato
davvero in tutti quei dischi? Da dove veniva il famoso “Motown sound”? E chi
erano i Funk Brothers? Nello splendido documentario del 2002 Standing in
the Shadow of Motown quei musicisti prodigiosi, ormai anziani, si
riuniscono per celebrare la propria musica e raccontare le loro storie
straordinarie a oltre 40 anni dalla prima jam a “Hitsville, USA”. “La Motown è
un trionfo e una contraddizione. È la prova del potere della black music e un
esempio di quanto il successo possa inaridire quando i suoi frutti non vengono
condivisi”, scrive Nelson George nel suo tributo Motown. Storia &
leggenda (Arcana, 2010).
“Padre, padre/Non abbiamo bisogno di
un’escalation/Vedi, la guerra non è la risposta/Perché solo l’amore può vincere
l’odio/Sai che dobbiamo trovare un modo/Per portare qui un po’ di amore oggi”.
(Marvin Gaye, What’s Going On, 1971)
Un cartello
sulla porta dello studio mette la parola fine a quel sogno: “Oggi nessuna
registrazione. La Motown si trasferisce a Los Angeles”. È un colpo al cuore:
siamo nel 1973 e all’improvviso la magia di quel “sound” svanisce come in una
fiaba. Quelli che restano in città ricominciano a suonare nei club, mentre chi
prova a seguire Gordy – senza amici, né famiglie – lascia il cuore di Detroit e
ne paga le conseguenze. Don Was, celebre produttore trasferitosi a Los Angeles,
ha un’autentica ammirazione per James Jamerson, il tormentato bassista dei Funk
Brothers: “Rappresenta il massimo in fatto di creatività, sperimentazione e
temerarietà. Devi essere assolutamente senza paura per suonare in quel modo”.
Jamerson muore a 47 anni di cirrosi, dimenticato da tutti, nel 1983 a Los
Angeles. Sempre là, un anno più tardi, finisce la vita di Marvin Gaye, ucciso
da un colpo di pistola esploso dal padre, il predicatore Marvin Gaye Sr..
tratto da "Il suono di Detroit. Blues,
catena di montaggio e high tech soul." di Vittorio Bongiorno - Mucchio
Extra n.42
Nessun commento:
Posta un commento