30.6.07

il bravo figlio e londra - ultima parte















18.6.07
Oggi a Londra non piove, diluvia. Chiamo A per un drink e la segreteria telefonica mi mangia tutto il credito. Ho freddo, sono stanco, dove cavolo si ricaricano i telefoni qui? Cammino per due ore alla ricerca di un maledettissimo negozio Vodafone, lo trovo solo quando è troppo tardi: A sembra stupita di sentirmi, io balbetto, lei balbetta, sta partendo, io pure, ma in due direzioni diverse, con due aerei diversi, forse anche da due aeroporti diversi. Inciampo sulle parole, dico delle stronzate che nemmeno io so, ma anche A sembra presa alla sprovvista. «Mandami la tua email», mi dice alla fine strozzandosi con le parole. Sono un cretino, me lo merito, questa è la verità. Addio A. Mi infilo da Muji, nel sottosuolo (è quello il mio posto) per non morire. «See you later», le dico, giuro. Ma si può essere più idioti?

Con RA e happy family facciamo un giro veloce alla National Portrait Gallery. Io vorrei vedere i sei ritratti di Shakespeare, che sono però in America. Poi con A, il figlio di R, cerchiamo il ritratto di non so quale Conte fatto decapitare da Re Carlo, che non troviamo. A R è chiaro che non gliene frega niente del ritratto, ha fame, come biasimarlo? In una sala del contemporaneo c’è una serie di foto molto interessanti: “Blair at war”. In Italia non sarebbe possibile… Sorvoliamo le grandi stanze, attraversiamo secoli, conti, principi, regine, diretti al club di MG, black, dove lui ci aspetta per pranzo già sorridente sulla porta del locale di Soho, un vecchio pub/ristorante a vari piani, “pure old London”. Ordiniamo anatra, patate, birra, ed è tutto delizioso. Con A e suo figlio ci “sciarriàmo” il pane per intingerlo nelle squisite salsine inglesi, tanto che l’unica frase utile che pronunciamo è, ovviamente, “more bread please”. Arrivati al dolce R racconta di un suo reportage a NY, al campionato mondiale di mangiatori di cannoli, e del campione uscente che non può partecipare “per un principio di diabete”. Adoro quest’uomo, mi fa morire dal ridere! Poi ci racconta la storia vera della Cassata siciliana, ed è un piacere sentire come sceglie le parole, le inanella una dietro l’altra, e da un lato ti raccata una storia bella, dall’altro ti fa sentire una musica meravigliosa. Poi ci abbracciamo, e ci ripromettiamo di vederci a Palermo. R addirittura si lascia sfuggire un timido «vedi che da noi ci dovrebbe essere un letto in più», frase che trovo delicatissima e affettuosissima insieme.

A cena, altro bagno di emozione, a casa di O. Ci sono tanti amici della sera della presentazione, CCG ha preparato deliziose insalate da accompagnare con squisiti patè (che lei chiama “organic”) di uova di pesce e verdure. E beviamo champagne, of course. Alla faccia di chi mi vuole male. O ci fa, a me e MG, una foto ricordo accanto alla finestra. Io ho la barba lunga di giorni, M mi abbraccia con energia.

19.6.07
Passo l’ultimo giorno a casa di CCG, M ci raggiunge da Bafta, il cinema e centro culturale di Piccadilly, per l’ultimo “pure english lunch”. Un cameriere di origini arabe ci snobba un po’ e C lo fulmina con lo sguardo. Io ho un gran maldigola, ho dormito male e forse ho qualche linea di febbre. In una tiepida mattina C, zia C, mi ha raccontato anche lei un pezzo della sua vita, e io ho ricambiato, mentre lei mi ha preparato la colazione più buona che abbia mai mangiato. Spero di non averla annoiata. Prima di partire mi regala il dvd di “The Proposition”, il western australiano scritto e musicato da Nick Cave, un foulard di seta nera e una confezione di salsicciotti inglesi per mio figlio, che mi avvolge in un sacchetto con una vaschetta di ghiaccio per picnic. «Scusa, forse sono una mamma rompicoglioni come con i miei figli», mi dice quando, sulle scale mobili della metro mi mette a posto l’orlo dei jeans impigliati nello stivale. «Non ti preoccupare, non sei una rompicoglioni, e poi io non sono tuo figlio». Ci abbracciamo come se ci conoscessimo da sempre. Anche lei. In bus per Stanstead crollo a dormire immediatamente, la gola in fiamme.

«Io domani mattina vengo a lavorare. Perché non sono come certa gente. Ma appena mi rompo i maròni me ne vado a casa», dice al telefono con l’Italia un grassone romagnolo tutto sudato in coda all’imbarco. Vorrebbe far credere di essere un top manager, o qualcosa del genere, ma molto più probabilmente sarà solo uno dei tanti schiavi impiegati. Io, mi dico tra me e me, per non rompermi i coglioni domani non ci vado proprio a lavorare. Punto. L’aereo è in ritardo, non c’è aria condizionata e io sono sfinito. I due tipi accanto a me non sanno allacciare la cintura di sicurezza. La biondina graziosissima che era in coda dietro di me è seduta accanto, dall’altra parte del corridoio, col suo fidanzato belloccio. C’è una madre, in vacanza con la figlia, entrambe molto alte, lunghi capelli corvini, jeans e All Star (ovviamente), ma io preferisco la madre. «Come mai non partiamo?», mi chiede la fidanzata bionda. Si è accorta di me, finalmente. Dico una delle mie stronzate. Un po’ li invidio, devono essere molto innamorati, perché lei chiede un bicchiere d’acqua alla hostess, e quella fa storie, perché è una stronza e perché non siamo ancora partiti (vecchia storia…). Ma poi rimaniamo sulla pista per quasi un’ora ad aspettare il nostro turno, e alla fine l’acqua la hostess glielo porta, e loro cosa fanno? Insieme, vergognandosi come ladri, si passano la boccetta del Lexotan, morti dalla paura. Io rido, gli voglio tanto bene, cari ragazzi. Io non ne ho più bisogno. O almeno credo. Spero. Quando l’aereo decolla, in una nebbia che si taglia a fette, uno spiffero ci investe, e veniamo sballottati nell’aria. Una stronza urla, io metto via il libro di GDC che sto finendo, e guardo verso la fidanzatina bionda. Che non mi guarda, perché è aggrappata al fidanzato, le mani serrate in una stretta d’amore eterno. E un po’ dolciastro. Meravigliosamente dolciastro. Ah quanto li invidio…

28.6.07

il bravo figlio e londra - parte 6









16/6/07

«C ci sta aspettando, se arriviamo tardi poi la senti…», dice MG mentre entriamo in metropolitana. CCG ci ha invitati alla prova generale di un sontuoso spettacolo alla Royal Opera House. Sono le nove del mattino, io ho dormito poco, ma ho gli occhi sgranati. E quando mai mi ricapita di essere invitato in un palchetto privato nel cuore di Covent Garden, nel santuario della lirica? Io, poi, non sono mai stato all’opera. Lo spettacolo che sta per cominciare, CCG è eccitata. L’autore, dicono, è molto importante: “Katya Kabanova”, testo del ceco Leoš Janáček, cantato in russo, sottotitolato in inglese. Non credo a ciò che vedo, non la ringrazierò mai abbastanza per questo regalo. Durante la pausa tra il primo e il secondo atto andiamo al bar, tutto di vetro, da cui si intravede il cielo di Covent Garden. Non c’è grande sfarzo, sono solo le prove generali, ma sono tutti molto british. Io e MG gli unici due terroni. C propone uno spuntino, io percepisco un suo fremito, ordiniamo champagne all’unisono, che accompagniamo con deliziosi tramezzini al salmone. MG richiama le tipe dell’albergo per l’ennesima volta inventando una scusa assurda: «Mr Bongiorno si è sentito male…». CCG mi vuole a tutti i costi ospite a casa sua: come posso rifiutare? Ormai ha conquistato definitivamente il mio cuore.


17.6.07
A Londra non esistono tende, e io mi sveglio con la prima luce accecante che filtra attraverso le grandi finestre. Il soggiorno di casa di M&M è una grande stanza di legno, due librerie speculari lungo le due pareti, fino al soffitto, piene zeppe di libri d’arte e romanzi, un altro grande ritratto di Andrea Pucci (l’altro amico palermitano di M), una vista su Hampstead che mette l’anima in pace. Quando mi sveglio MG è già andato a correre al parco. Come cazzo fa quest’uomo? Lo adoro… Rimango a poltrire a letto, ripensando a quello che sto vivendo, a queste persone meravigliose che non sembrano vere. Ma sono qui per me, aspettavano me, me lo merito, cazzo. No?

MG rientra, tutto sudato, e io mi gratto pigramente in pigiama: è un uomo davvero speciale, e la sofferenza è la chiave per capire il suo mondo, un mondo magico, che riprende a raccontarmi, mentre camminiamo ancora, senza meta, come amici da una vita.

«I libri degli scrittori siciliani non si leggono, si controllano…», una grande verità, una battuta geniale. RA ha sempre fame, e sonno. Sarà l’aria di Londra, sarà questa luce, sarà la vacanza, fatto sta che più dorme e più dormirebbe. All’uscita del mio libro il mio editore mi ha girato una sua email molto buffa in cui mi chiede “da dove spunti?”. Io gli rispondo “dal sottosuolo”. Ci siamo scritti qualche botta e risposta, ripromettendoci di pigliarci un caffé a Palermo. Ieri, però, è arrivato a Londra con moglie e figlio, e abbiamo cominciato a vederci. A prima vista sembra un orso, silenzioso, occhi piccoli curiosissimi e attentissimi, sembra perennemente imbronciato. Ma se lo stai a sentire, se lo segui tra gli scaffali dei negozi di giocattoli, tra le vetrine di Soho, seduti sui gradini della fontana di Piccadilly, scopri in realtà una persona molto spiritosa, curiosissima e molto molto divertente. In una parola, “spèrto”. Anzi “spertissimo”. Oltre che, ovviamente, scrittore raffinatissimo. E poi anche io ho fame, e anche io, tendenzialmente, dormirei, e andiamo subito d’accordo, tanto da rivederci per un paio di giorni. Camminiamo anche con lui, all’infinito, e mi racconta mille cose, mille rivoli di storie, che finisce sempre con uno sguardo obliquo sul mondo. Spesso con una battuta che mi spiazza, che mi fa ridere. Per fortuna almeno lui non mi vuole dare consigli di scrittura, ma solo condividere un generoso piatto di fish&chips!

Le donne, tutte bellissime, vanno in giro “spurmunàte” (vestite pochissimo cioè, a rischio polmonite, perché qui fa ancora freschino), e calzano tutte le ciabattine infradito di gomma. E poi magari tossiscono.

<> Un bimbo di pochi anni urla a squarciagola piangendo e cercando di richiamare il padre che scende alla fermata della metro dove salgo io. La madre sembra serena, la sorellina più grande quasi ride per la scenata del fratellino. Chissà se sono genitori separati, mi chiedo. Quando la mamma si decide a prenderlo in braccio lui smette di piangere e si accoccola in silenzio. Io cerco di evitare il suo sguardo, sennò scoppio a piangere io…

Un’altra giornata, full of life. Ho attraversato tutta Soho a piedi, le caviglie doloranti, tra sexy shop sgarruppati, puttane giovanissime, turisti italiani spauriti, boutique dai prezzi inarrivabili, l’aria del fritto di una Chinatown molto quieta. Sono finito. Nonostante tutto raggiungo M da Sotheby’s, a casa di dio, dove trovo subito il conforto di un fiume di Laurent Perrier ghiacciato servito da sorridenti fanciulle in divisa. M mi racconta un altro pezzo della sua rocambolesca vita, «Minchia la devi scrivere, anche in ordine cronologico…», gli ripeto ancora una volta, e sono già brillo. Poi lui incontra A, la bellissima A, e io scappo immediatamente fingendo interesse per un bellissimo “Leviathan” di Anselm Kiefer che costa solo 400.000£. Faccio finta di volermi fare un regalo, perbacco, me lo merito in fondo un Kiefer anche io, e vedo che M mi manda frecciate, come a dirmi coglione, che vai facendo, vieni qua che ti presento la mia amica. A è una pittrice di origini palermitane che vive a Londra, credo, da una vita. Ha un nome che sembra pronto per un romanzo, ed è la classica palermitana alta, bionda, dal fascino antico. Io mi presento, dico qualche stronzata che cancello subito, mi guardo le punte delle mie bellissime scarpe, cerco di interessarmi a un bellissimo “Concetto Spaziale” di Lucio Fontana (2.000.000£!!!), e evito accuratamente il suo sguardo. Credo che lei se ne accorga, perché mi sorride. O forse me lo sono solo immaginato. Sono “totally confused”. Invece che parlare con la bella A, mi metto ad ascoltare tutto il tempo il suo accompagnatore, un produttore musicale forse anche gallerista, che sfoggia una camicia multicolore fuori dai pantaloni su una giacca bianco panna che non ci azzecca proprio, ma che fa molto “swinging London”. Il tipo mi racconta di un suo soggiorno a Palermo, di non so che lavoro a Cinecittà, non so in che anni, non so in che mondo, non so in che universo. Lui parla, io faccio di sì con la testa, I know, I know, oh yeah, brilliant, really?, amazing!, ma non me ne fotte una beneamata mischia di ciò che dice. Poi A se ne va, e a me non resta altro che aggrapparmi a un autoritratto di Francio Bacon del ’78 che potrebbe essere mio con sole 12.000.000 (dodicimilioni) di fottutissime sterline. Sono un coglione.

Continua-

26.6.07

il bravo figlio e londra - parte 5















All’Italian Bookshoop è tutto pronto. «Hai un minuto, un minuto e mezzo per ogni risposta», mi dice il Console DM che introduce la serata e che ha un foglietto con un piano dettagliatissimo della presentazione. Sembra più il piano per una rapina in banca che per presentare un romanzo, ma funziona. MG è testo, c’è un sacco di gente, fa molto caldo. Il Console è molto preparato, confessa che quando ha cominciato a leggere il libro temeva che non gli piacesse, ma che poi ha “sentito il ritmo” della storia. E, da quello che dice, si vede che gli è piaciuta. Alla fine si è riservato pure lui due pezzi da leggere rubandoli a MG. Si percepisce una grande partecipazione. Per rompere la tensione, in un attimo di imbarazzo, gli faccio io una delle mie solite domande cretine: «Cosa si prova a essere Console oggi?». Una risata taglia l’aria, siamo alla fine. Anche OT, la splendida libraia che mi ha invitato, è commossa, molto commossa. Tanto che l’indomani parliamo ancora del mio libro e mi confessa una cosa che mi intenerisce: «Anche io sono stata una brava figlia…». La sera torno a casa sua, dove sono ospite, a North-Hampstead, e mi riempio gli occhi delle fotografie, dei disegni, degli oggetti sulle mensole e alle pareti. Ha una collezione di souvenir da tutto il mondo, le bolle con l’acqua e la neve finta, che mi fa impazzire: ho sempre desiderato che qualcuno me ne portasse una da ogni viaggio!

Alla presentazione leggo alcune frasi di Orhan Pamuk che mi sono appuntato sul mio taccuino. Le mani mi tremano, non ho ancora imparato a trattenere le emozioni: «Un autore parla di cose che tutti sanno senza esserne consapevoli… Ecco, l’arte del romanzo è il talento di raccontare la propria storia come se fosse la storia degli altri… gli altri diventano “noi” e noi gli “altri”». Ci sono riuscito? Who knows…

Ci sono un sacco di persone, tanti italiani che vivono a Londra da una vita, alcuni stranieri che studiano l’italiano, qualche amico di amici. C’è anche GC, il mio amico regista che si è trasferito a Londra per disperazione, c’è ET, l’amico avvocato del mio migliore amico che, tutto sudato, mi saluta e mi dice, in un italiano stentato: «Io sono fan di elefanti…» C’è T, una simpatica insegnante, che ha già letto il libro e che vuole le traduzioni di alcune parole che ha apuntato in prima pagina (pulle, piriàti, sbummicàti ecc), che io le traduco, ormai nel pieno dell’esaltazione, direttamente dal siciliano all’inglese! Si è fatto tardi, OT ci caccia praticamente fuori dalla libreria, non so quanto tempo sia passato, ma a me sembra una vita.

Andiamo a cenare in un ristorante thai in Tottenham court rd con MG, MDP, GC e C, una giovane attrice in crisi sentimentale che va in giro con un microabitino e con una tosse tremenda. Parliamo del più e del meno mentre camminiamo, e lei continua a tossire in modo preoccupante. Mi decido a cederle il mio spolverino, che lei accetta volentieri, e che viene salutato da M&M con grande clamore.

CONTINUA…

25.6.07

il bravo figlio e londra - part 4













15.6.07
Appuntamento in studio da MG dietro Oxford st. Un posto minuscolo e delizioso con vista su tetti, pavimento di cocco e molta luce. Parliamo di pittura, un quadro del suo amico Nicola Pucci alla parte, M mi parla di sua madre, mi mostra le sue foto di quando era giovane: «È bellissima», gli dico. Mi racconta la sua storia, sono toccato e commosso. Poi, vestito elegante per la presentazione di stasera, legge una bellissima pagina del mio libro,e io ho i brividi.

Passeggiamo a lungo per tutta Soho, tra sexy shop, pub, locali gay, gallerie d’arte, cinema e teatri off. Lontra è una meraviglia. Parliamo e camminiamo, senza sosta, tanto che sono sfinito, ma felice. È la prima volta che mi capita di incontrare qualcuno che prende la vita “a morsi” più di me. Mentre beviamo l’ennesimo caffé scopriamo, con una certa meraviglia, i nostri “gradi di separazione”: L&L, F&C, MR. E mentre me lo racconta ho la percezione immediata di quando, meno di dieci anni fa, a Milano, MR parlava di lui e io, ovviamente, non immaginavo che sarebbe diventato così importante per me. La vita è una continua e costante meraviglia…

Nello stesso momento MC, da Roma, mi gira una mail di una certa AC che gli chiede se può metterla in contatto con “Vittorio Buongiorno”, per sapere cosa significa la parola “pulla”. AC, per la cronaca, vive a Londra, e ha contattato l’editore minimum fax perché ha scoperto per caso che ho presentato il libro da loro a gennaio. Ma non può sapere che sono a Londra in questo momento! MC ride…

CONTINUA...

22.6.07

il bravo figlio e londra - part 3

21.6.07

il bravo figlio e londra - part 2

14.6.07
La notizia, di per sé, è una bomba: il Lexotan è lì nella shop-bag di minimum fax ormai lacera, ma al controllo dell’aeroporto di Forlì non se ne accorge nessuno. Rimarrà lì per tutta la durata del viaggio. Chissà come e perché (ma in realtà io so come e perché…) non ne ho più bisogno, non ho più paura di questo suppostone bianco con le ali blu, non ho più angoscia. A bordo nessun terrorista vero o presunto (nessuna barba lunga, nessuna tunica, nessuno sguardo allucinato) e l’aereo spicca il volo mentre sono risucchiato nella lettura del nuovo libro di Giancarlo De Cataldo “Nelle mani giuste”. Dormo. Sogno forse, ma stavolta non ricordo. Atterro a Londra che nemmeno me ne accorgo.

«Le donne qui si vestono come vogliono», dice MG mentre prendiamo il primo di tanti caffé a in giro per Hampstead, il quartiere più cool a nord di Londra. Lui e CCG sono venuti a prendermi alla fermata dell’autobus, e abbiamo subito cominciato a raccontarci. «Devi scrivere tutto», gli ripeto mille volte. In confronto alla sua, la mia vita mi sembra una passeggiata.

Londra è un turbinio di colori, facce, abiti, scarpe, vetrine, insegne, giornali. Qui puoi scegliere la tua vita. Vestirti come vuoi, per dirla con il mio amico. L’ultima volta che sono venuto qui avevo quindici anni. Praticamente un’altra, di vita.

Entriamo in un negozio Vodafone per una scheda inglese e Mimmo, un imponente avvocato napoletano convertitosi ristoratore ci racconta come un suo subalterno gli abbia rubato, dice, 40-50 mila sterline. E di come lui non ci possa fare nulla per legge: «Ma sai che faccio? Aspetto, ma poi gli rompo il culo», dice con un ghigno che gli apre il sorriso. Promette che verrà alla presentazione portando una bottiglia di champagne…

La sera, da Christye’s, (www.christies.com) sorridenti ragazze bionde servono fiumi di champagne e deliziosi gamberetti tonno crudo tartine. Io, ubriaco, rimango a fissare in estasi “Waterloo Bridge, bad times” di Monet. All’asta a 6-10.000.000 £. Cerchiamo il quadro che MDP, la compagna di MG appena tornata dal tibet, segue per conto di un cliente, ma poi io me ne dimentico. Ho bevuto troppo. Lei indossa uno splendido kimono nero ricamato comprato nella terra del Dalai Lama, scarpette rosse e basse che fanno pendant con la borsetta dello stesso colore. Tutte le donne qui sono tutte bellissime. Ha ragine MG...

Numeri da giocare al lotto: 19, 56, 13, 47.

il bravo figlio e il london diary



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